
Lì, 25 maggio 2025
Una cinquantina di partecipanti sotto la guida esperta del Presidente Leone e dei suoi più stretti collaboratori Paolo e Fausto, sono saliti di prima mattina sul pullman della “Rigato” trasporti in compagnia di… altrettante fragranti brioches offerte a metà del viaggio. Dopo l’appello di Marta, dell’agenzia viaggi di Rio, si parte puntuali verso Pavia, prima meta il castello Visconti, imponente costruzione difensiva con tanto di torri quadrate e ponte levatoio, già nobile residenza dei signori del “Biscione” e oggi adibita a museo cittadino.
Durante il tragitto, mano a mano che ci si avvicinava alla città, la verdeggiante pianura dell’Oltrepò pavese dispiegava davanti a noi tutta la fertilità della sua campagna ricca di acque, di risaie, di messi e di foraggi facendoci intuire appieno del perché di tante invasioni subìte da questo territorio nel corso dei secoli. Non per nulla proprio qui, dopo la caduta dell’impero romano d’occidente nel 476 d.C. e la deposizione dell’ultimo, imberbe imperatore Romolo Augustolo, si accamparono a ondate successive eserciti di ogni stirpe e tribù, arrivando ad eleggere l’antica “Ticinum” al rango di capitale: dagli Ostrogoti di Teodorico ai Longobardi di Alboino, fino ai Carolingi di Carlomagno. E poi, dopo la parentesi della Signoria dei Visconti e degli Sforza nel ‘400, ecco di nuovo contendersi il dominio del ducato i Francesi di Francesco I e gli Spagnoli di Carlo V nella celebre battaglia di Pavia di cinquecento anni fa, avvenuta appunto nel 1525. Battaglia che segnò un momento decisivo delle guerre straniere in Italia, fino alla creazione del Lombardo-Veneto da parte degli Austriaci, all’arrivo delle armate napoleoniche e poi dei Savoia e, finalmente, all’unità d’Italia.
Momento clou della mattinata la visita alla tomba di S. Agostino nella basilica di S. Pietro in Ciel d’oro le cui spoglie, comprate a peso d’oro dal re longobardo Liutprando per scampare alle razzie saracene, riposano in una magnifica arca di marmo bianco di Carrara. Di questo vescovo africano, che si era convertito al Cristianesimo dopo una vita dissoluta da lui stesso raccontata nelle “Confessioni”, mi piace ricordare una sua frase a proposito della morte che diceva:”Fratello, non piangere la mia dipartita, sono solo passato nella stanza accanto”.
Poi eccoci nella bella chiesa romanica di S. Michele Maggiore, al centro della quale, nella navata centrale, una scritta circolare in marmo ricorda il punto esatto dove venivano incoronati i re, fra cui il Barbarossa, con la celebre corona ferrea realizzata con la reliquia di un chiodo della croce, oggi nel duomo di Monza.
Quindi visita guidata alla celebre università, patria di scienziati illustri come Alessandro Volta, inventore della pila, al museo diocesano ricco di preziosi paramenti e di reperti antichi e al duomo.
Davanti al duomo troneggia l’ultima, grande statua equestre d’epoca romana fusa in bronzo dorato, quella del Regisole, che rappresenta forse il re ostrogoto Teodorico il grande. Distrutta dai Giacobini napoleonici la copia è stata riprodotta dal grande scultore Francesco Messina autore del famoso cavallo posto davanti alla sede della Rai. Dovranno passare quasi mille anni perché una simile statua equestre sia eretta su piazza del Santo a Padova, quella del condottiero Erasmo da Narni detto il Gattamelata, opera del Donatello.
Per il pranzo si va alla ospitale Taverna del Ticino ed è giocoforza attraversare a piedi il meraviglioso ponte coperto sul fiume, anch’esso bersaglio di tante battaglie, più volte distrutto e ricostruito. Per la cronaca, durante i lavori di drenaggio e restauro dei piloni son stati trovati blocchi di trachite dei nostri colli Euganei di epoca romana a rinforzo della struttura. Davvero si capisce come le autostrade di un tempo fossero i corsi d’acqua, in questo caso il Po e il Ticino, vie navigabili di estrema importanza per qualsiasi tipo di commercio.
Il tardo pomeriggio è interamente dedicato alla Certosa, distante una decina di chilometri dalla città, sorta per un voto alla Madonna di Caterina Visconti, moglie e cugina di Gian Galeazzo, che avrebbe dovuto diventare mausoleo per le tombe di famiglia. In realtà solo due bellissimi sarcofagi custodiscono le spoglie di Ludovico il Moro con Beatrice d’Este e quello di Gian Galeazzo Visconti. L’enorme afflusso di visitatori non ci ha tuttavia impedito di ammirare l’imponenza dell’edificio con i bellissimi chiostri, le numerose “casette” degli eremiti disposte in bell’ordine tutte all’intorno e soprattutto la meravigliosa facciata ricca di fregi e di statue, anch’essa tutta in marmo bianco di Carrara fatto arrivare fin qui dopo aver circumnavigato tutta l’Italia!
Insomma, avete capito, non solo una semplice gita la nostra, ma una vera visita di istruzione, come si dice a scuola, in una città che è stata nei secoli fulcro dell’intera storia d’Italia.