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Il caro prezzo della “libertà napoleonica”

In un primo tempo Napoleone fu considerato dai popoli conquistati come un liberatore dall’oppressione dei regimi monarchici assolutisti ed in effetti, in veste di paladino delle conquiste della rivoluzione, aveva riformato i vecchi Codici abolendo i privilegi feudali dei nobili, introducendo il diritto di proprietà e propugnando l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

E’ quello che viene chiamato “Codice Civile Napoleonico”, ancora in vigore in Francia e fonte di ispirazione per molte Costituzioni nel mondo. Insomma, una bella conquista, frutto della Rivoluzione.

Peccato che ad ogni passaggio delle armate francesi nei territori “liberati” si facesse avanti una apposita commissione di esperti d’arte per selezionare, requisire e spedire a Parigi le opere più significative e preziose di questo o quel paese, fosse la Spagna o il Portogallo, le Fiandre o il Belgio, la Prussia o l’Austria, fino all’Egitto, lo Stato Pontificio, Venezia, Milano, Napoli…

Parigi antica
Al centro della foto (davanti ai cammelli): i cavalli di San Marco sfilano sul carro dei trofei, a Parigi

Migliaia di capolavori prendevano così la strada della Francia, “per essere più degnamente custoditi dal popolo”, dicevano con scherno i rivoluzionari.

Molte di queste opere, per la verità, dopo la sconfitta di Waterloo tornarono ai rispettivi paesi di origine in seguito alla restaurazione sancita dal Congresso di Vienna del 1815, come è il caso dei cavalli di S. Marco, ma molte altre rimasero in Francia, ad esempio “Le nozze di Cana” del Veronese, immensa tela ad olio che si trovava nel refettorio benedettino dell’isola di S. Giorgio Maggiore e che tuttora troneggia nel padiglione italiano del Louvre. Era talmente grande (9 m. e 90 cm. per 6 m. e 66 cm.) che dovettero dividerla in tre pezzi per trasportarla!

Nozze di Cana
Le nozze di Cana al Louvre

Compenso dei danni di guerra, dicevano, o meglio bottino di guerra dei vincitori, dico io, come d’altronde lo furono, a suo tempo, gli stessi cavalli di S. Marco razziati dai Veneziani nel Circo Massimo di Costantinopoli durante la quarta crociata del 1204.

Purtroppo, da che mondo è mondo, è sempre andata così anche se oggi qualche voce isolata comincia a levarsi per deplorare tali razzie e pretendere una inversione di tendenza. Ma fino a dove e fino a quale epoca spingersi per una eventuale restituzione? Non è dato sapere.

Resta il fatto che dei circa 500 fra i più celebri capolavori asportati dall’Italia solo la metà di essi prese la via del ritorno a casa, grazie anche all’interessamento del Canova, ma tanti altri come “La Maestà” di Cimabue o “L’Incoronazione della Vergine” del Beato Angelico, assieme a numerosi quadri di Raffaello, Perugino, Veronese, Andrea del Sarto, Tiziano, Correggio, Mantegna, non furono mai più restituiti e andarono perduti per sempre.

Senza contare tutto quello che nei palazzi e nelle chiese c’era di oro o di argento: statue, arredi, ornamenti, pissidi, calici, reliquiari, tutto venne depredato e fuso per pagare le truppe, compreso il tesoro di San Marco e la stessa gondola del doge, il famoso Bucintoro, incendiato per ricavarne l’oro delle decorazioni.

Oltre a una quantità impressionante di sculture, di codici miniati, di incunaboli, di manoscritti, di libri preziosi, bruciati dalla soldataglia o smembrati per ricavarne un più facile guadagno. Gli storici, con un termine alquanto accademico, definiscono tutto questo come “spoliazioni napoleoniche” noi, senza mezzi termini, preferiamo chiamarle vere e proprie ruberie perpetrate ai danni dei popoli “liberati”.


NB. Altra cosa, invece, è la Gioconda che molti, erroneamente, ritengono far parte di questi furti d’arte mentre invece si sa che il quadro era stato portato con sé in Francia dallo stesso Leonardo che l’aveva poi venduto per 4000 scudi d’oro al re Francesco I nel 1517.

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Una risposta.

  1. Ivano Nardo ha detto:

    Sempre molto interessanti i racconti storici di Adriano,raccontati con la sua splendida e ineguagliabile semplicità.

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