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Noi ragazzi del “SCORNIO”

L’estate si sa è per i ragazzi il miglior periodo dell’anno. Finiscono le scuole, bel tempo, si gioca all’aperto e si va vacanza. Si fanno cose che durante l’anno non sempre si riesce a fare. Io per esempio andavo a scuola a Padova e tornavo a casa solo al pomeriggio ed il tempo per andare fuori a giocare non c’era.

D’estate però tutto cambiava. A piedi o con la piccola bici ci si trovava in gruppi di dieci o venti ragazzi si faceva la piccola banda e si giocava. Il primo gioco per noi maschi era ovviamente il pallone. Non c’era però il campo da calcio ed allora si giocava in strada, in piazza, sulle “spagnare” appena tagliata l’erba. Vi era però un inconveniente il pallone finiva sempre in acqua. A Rio, Roncaglia, Roncajette o Ponte un bel tiro un po’ più forte del solito e finiva in acqua. Ma il pallone era prezioso e non lo si poteva perdere e allora bisogna recuperarlo a tutti i costi. E allora i più grandi insegnavano ai più piccoli come si recuperava il pallone in acqua. Bisognava fare uno scatto velocissimo lungo l’acqua poi scendere la scarpata del fosso e con un palo o un ramo bloccare il pallone e portarlo a riva. La cosa era abbastanza facile con i fossati piccoli ma col “scornio” era abbastanza complessa. Ma noi diventavamo ben presto esperti e talvolta succedeva che qualcuno finiva anche in acqua … ma senza grossi problemi. Faceva caldo si mettevano le scarpe al sole ad asciugare e si continuava a giocare scalzi.

Il fosso, il fossetto, lo scornio, il canale era il nostro ambiente abituale dell’estate. Non ci faceva nessuna paura. A Rio lungo le tre strade principali correvano tre grossi fossati che la gente chiamava “scornio” e “scao” probabilmente dal latino “cornus” e “scavus” come deviazione del fiume o escavazione. Davanti alla Chiesa di Rio si univano due fossi e ne proseguiva verso Roncajette uno solo di molto grosso che proseguiva fino al cosiddetto “ponte del scao” per finire poi nel fiume Bacchiglione verso i confini con Casalserugo. Giocando in piazza o in strada il pallone finiva sistematicamente in acqua e questa era anche la ragione per cui preferivamo il pallone di plastica e non di cuoio perché il pallone di cuoio finendo in acqua si rovinava. A volte rincorrevamo il pallone anche in bicicletta perché la corrente lo portava verso Roncajette.
Ma lungo i fossi non solo si giocava a pallone si andava anche a pescare, vi erano infatti pesci di acqua dolce come le “scardole” che non ho mai capito che pesce fosse, le tinche, i bisatti e le rane.

Al mattino vi erano provetti pescatori che catturavano con un retino , specie dopo i temporali, i “breschigji” ossia i gamberi di fiume e al buio si pescavano invece le rane.
I fossi erano numerosi, ma tenuti bene dai contadini perché erano preziosi per l’irrigazione, per la raccolta dell’erba da dare alle mucche , ai conigli, al pollame per attingere acqua per il bestiame ed il fossato permetteva di tenere asciutti i campi. I vecchi contadini che in realtà erano vecchi solo per noi ragazzi ci dicevano…. le strade “che le vaga pure soto acqua .. ma i campi no”. Infatti se l’acqua ristagna sulle rive, sulle capesagne, sui bordi dei campi, le colture di granturco , grano, orzo, erbamedica ecc. ingialliscono e muoiono per asfissia e vanno in malora.

Moltissime famiglie coltivavano i campi ed il fosso vicino o lontano da casa era non dico amato ma rispettato e trattato con grande cura come fosse uno strumento di lavoro. Non parliamo degli argini del grande fiume a Roncajette e Ponte . Lì si tagliava il fieno dalle scarpate come fossero giardini lo si metteva al sole ad essiccare e lo si portava a casa con le carrette. Mio padre mi diceva che el fen bon vale sempre la fadigag de raccoglierlo.Crescendo poi si allargavano gli orizzonti ed allora il fosso ed il fossetto davanti casa non ci bastava più …e allora i più grandi ci raccontarono che bastava fare un pò di strada in più e si andava a pescare, a fare il bagno… (si fa per dire) al Laghetto de Rossi. Il Laghetto de Rossi era un campo che era stato scavato per estrarre l’argilla che serve per impastare i mattoni rossi, era rimasta la buca che si era ben presto riempita di acqua stagnante, erano cresciute piante acquatiche e c’erano anche pesci. Andavamo sulle rive di queste buche a vedere che i più grandi pescavano, nuotavano e noi esploravamo le rive . Purtroppo non c’era una grande vigilanza e attorno a queste buche di notte e di giorno hanno cominciato a buttare di tutto, rovinassi dai cantieri, terra di riporto dalle costruzioni, scarti di lavorazione del legno, bidoni vuoti ecc. In pochi anni il laghetto si restringeva sempre più finchè è sparito definitivamente interrato ed è anche sparita la strada che portava al laghetto.

Allora non ci siamo persi d’animo ed andavamo ancora più in là ossia a Roncajette alle “ Buse”. Anche a Roncajette vi erano delle vecchie cave di argilla abbandonate piene di acqua ove era cresciuta una vegetazione lacustre e dove si poteva pescare, fare il bagno anche se l’acqua non era proprio cristallina. Qui gli spazi erano moto più grandi e per noi le Buse era un posto immenso , fuori del tempo ove ci si poteva perdere. Anche qui però cominciarono a spuntare sulle rive rifiuti di ogni genere e l’ambiente divenne sempre più infrequentabile. Mi ricordo che un giorno di giugno mentre studiavo per l’esame di maturità avevo voglia di prendere aria. Andai allora alle Buse con il mio libro a studiare e mi misi tranquillo a studiare sopra una collina artificiale costituita da una montagna di pezzi di stoffa scartati da un’industria.

Con l’abbandono dell’agricoltura cambiarono anche i giochi e si fece strada tra la gente che non lavorava i campi un’avversione totale possiamo dire persino odio verso il fossato. In pochi anni si volle fare sparire il fossato ed i fossati dalla vista. Tombinamenti, tombamenti, interramenti, sbarramenti, arature ecc. nessuno voleva più il fosso nessuno voleva più vedere un fosso. A Rio ne furono tombinati due lungo le due strade principali, a Voltabarozzo un altro bel tratto, a Ponte lo stesso, Il canale morto di Roncajette altro posto mitico dove si andava a” slisegare” d’inverno sulla poca acqua rimasta dopo la costruzione degli argini fu colmato di terra, rovinassi e rifiuti ed infine tagliati gli alberi e sparito. I fossi più piccoli furono riempiti di terra senza pensarci un minuto. Solo un pezzo di canale morto è sopravvissuto a Ponte San Nicolò perché lì non vi fu la corsa a gettare i rifiuti nell’acque del Canale Morto ed il canale morto è arrivato così sino ai nostri giorni.

Ma il livore verso il fosso continua abbiamo zone ove i fossi sono spariti non si sa più che fine abbiano fatto. Si vede nelle vecchie piantine il fosso che attraversa il campo poi sparisce e magari ricompare come il Timavo molto più in là ma in una zona dove non vi sono sorgenti e quindi è sistematicamente in secca. Oggi non ci sono più bambini che giocano e che nemmeno si avvicinano al fosso ed è un peccato perché chi aveva curiosità anche osservando le acque sporche del fossato riusciva a leggere quel meraviglioso libro della natura rappresentato dalla flora e dalla fauna. Nel fosso o in prossimità del fosso vivevano le rane, i girini, i pesci, le libellule, i salici, i passeri, i merli, le gallinelle d’acqua, le paere, l’erba caresina, i fiori, le violette, i mughetti, ecc… e li potevi non solo vedere ma anche toccare a volte.
Ho sentito dire che bisognerebbe riprendere la cultura del fosso, della sistemazione agraria benedettina aggiornando l’antico detto delle Ceneri: “Ricordati che sei palude!”

Questo articolo, così com’è stato pubblicato da noi, è stato pubblicato nel numero 20 del 27 aprile 2020 di WIGWAM NEWS.

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Una risposta.

  1. Federico ha detto:

    Articolo molto interessante! Congratulazioni!

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