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Attila, flagello di Dio?

Nell’immaginario collettivo di noi occidentali Attila fu di sicuro considerato un flagello di Dio, quasi fosse una maledizione divina perché, al suo passaggio, faceva letteralmente terra bruciata dietro di sé, seminando morte e distruzione più di ogni altro popolo invasore. Ma per gli Ungheresi di ieri e di oggi la realtà è ben diversa e il re degli Unni resta per loro il più grande eroe nazionale, il Cesare conquistatore di un immenso impero che andava dagli Urali alle Alpi, dal Baltico al Caspio, ed il suo nome viene tuttora imposto, in molte famiglie, ai maschi nuovi nati. Eppure il suo regno durò solo otto anni ma furono anni intensissimi di campagne militari epiche e vittoriose, che arrivarono a minacciare da vicino sia l’impero romano d’Oriente con l’assedio di Costantinopoli, sia quello d’occidente con l’invasione della Germania, della Francia e di tutta l’Italia del nord, da Milano ad Aquileia. Roma fu salva solo per miracolo, si dice, grazie al coraggio di Papa Leone I che lo affrontò sulle sponde del Mincio nei pressi di Mantova, indossando in pompa magna i paramenti papali per far colpo sul barbaro, brandendo alta la croce di Cristo come una spada. E tale atteggiamento dovette davvero impressionare Attila se alla fine lo ascoltò e risparmiò Roma, allettato anche da una ricca offerta d’oro e di bottino per il suo esercito ormai stremato dalla malaria e dalla carestia. Il resto, essendo egli molto superstizioso, lo fecero i suoi indovini che gli avevano predetto la malasorte se avesse saccheggiato la città eterna, come era accaduto quarantanni prima al re dei Visigoti Alarico morto dopo il sacco dell’Urbe avvenuto nel 410 d.C. . Insomma, grazie a Dio e alle circostanze poco favorevoli, con l’inverno alle porte egli preferì ritirarsi e tornarsene a casa. Ed a ragion veduta, in verità, in quanto l’imperatore d’Oriente Marciano stava ammassando truppe lungo i confini della Pannonia, sul Danubio, al comando di quello stesso generale romano Ezio che già lo aveva sconfitto una prima volta in Francia ai Campi Catalauni nell’estate del 451 d.C. ( oggi Châlons sur Marne, Francia Est).

Ma chi erano questi Unni e da dove venivano?

Erano tribù nomadi guerriere dell’Asia centrale che premevano ai confini con la Cina in cerca di pascoli e di razzie, tanto che fu deciso di innalzare la famosa muraglia cinese per contenerne i ripetuti assalti. Fu allora che, sigillata questa frontiera ad Est, essi rivolsero le loro mire verso Ovest in cerca di nuovi pascoli anche perché, stiamo parlando di circa 1500 anni fa, si stava verificando in quel periodo un fenomeno opposto a quello di oggi, un costante abbassamento cioè delle temperature che provocava siccità e carestie. La superiorità dei guerrieri Unni sugli altri barbari era frutto della loro maestria nell’andare a cavallo e della loro abilità come arcieri, cose che imparavano fin dalla più tenera età, quando ancora non sapevano camminare. Un gruppo d’assalto di guerrieri era composto da circa mille uomini che, stando ritti in piedi sulle staffe, scagliavano frecce in tutte le direzioni avanzando velocemente a zig-zag, fingendo di ritirarsi per poi incalzare nuovamente il nemico. Dicono gli storici che arrivavano a lanciare le loro frecce fino a 300 metri di distanza e ad uccidere un uomo alla metà di quella traiettoria. La tattica vincente era basata soprattutto sulla sorpresa (una vera guerra-lampo, si direbbe oggi) e sul terrore. E, mano a mano che conquistavano nuovi territori, spingevano sempre più avanti, come in un effetto domino, le popolazioni barbare stanziali che finivano per cercare scampo entro i confini dell’impero romano. Con le conseguenze che sappiamo.

Un giorno dell’anno 453, tra un’impresa bellica e l’altra, Attila pensò bene di aggiungere una nuova giovane moglie al suo harem già molto frequentato ma i numerosi brindisi e festini che seguirono alle nozze gli furono fatali e la mattina seguente venne trovato morto nel suo letto per lo scoppio di un’arteria. Fu sepolto in gran segreto tra il Danubio e il Tibisco dentro a tre urne: la prima d’oro, la seconda d’argento, la terza di ferro poi, affinché nessuno osasse violare la sua tomba, furono uccisi tutti coloro che avevano lavorato per la sua sepoltura che non venne mai trovata.

Il suo regno, come spesso accade, fu diviso tra i figli che presero strade diverse, combattendosi pure tra di loro ma il mito leggendario del padre non ne fu mai intaccato anzi, ancor oggi, nel bene e nel male, continua a cavalcare i secoli.

Massima espansione dell’impero unno nel 451 d.C.

 

Massima espansione dell’impero unno nel 451 d.C.