Ponte san Nicolò PD
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Osteria numero uno…

Stiamo perdendo o forse abbiamo già perso le nostre Osterie. Le varie frazioni o località del nostro Comune si caratterizzavano in passato dal fondamentale apporto dell’Osteria. Fino agli anni ‘60 e ‘70 l’Osteria ha svolto un ruolo insostituibile di aggregazione sociale come si direbbe oggi, di agenzia educativa nell’età adulta specie per la popolazione maschile, e luogo di svago, di ricreazione e di mutua assistenza. Ai giovani e giovanissimi di oggi forse l’osteria non dice nulla e non può dare più nulla, ma a pensarci bene oggi, che le nostre osterie una ad una vengono meno o si trasformano in un qualcosa d’altro, ti prende la malinconia ed il senso dell’impoverimento sociale e culturale.
Facciamo allora un bel «giro del latte» come dicevamo noi giovinastri, che passavamo di paese in paese a visitare le varie osterie, come se le osterie fossero ancora aperte come le api che prendono il nettare da ogni fiore.
Le osterie erano il luogo dell’incontro sia prima e sia dopo il lavoro. Si beveva vino, si mangiava qualcosa a tutte le ore, si giocava a carte, a domino, alla morra, si cantava ed anche si suonava. Qualche osteria più evoluta inserì dal ’60 la televisione, la tv dei ragazzi al pomeriggio ed i programmi serali di varietà alla sera. Il televisore del tempo era un grande armadio di legno a canale unico ed in bianco e nero, ed era posto in alto sopra una mensola in modo tale da poterlo vedere da lontano, come una specie di cinema con le sedie allineate.
Le osterie erano anche il luogo malfamato ove si usava il turpiloquio, erano frequentate anche da ubriaconi e ci siamo dimenticati cosa fosse la piaga sociale dell’alcolismo nel dopoguerra, era il luogo ove si ritrovavano anche quelli che avevano problemi con il lavoro, si giocava la consumazione con il vecchio motto «chi perde paga». Era quindi il luogo ove la società di allora manifestava i suoi problemi.
Cominciamo il giro da PONTE SAN NICOLO’.
A Ponte c’erano due Osterie scendendo il ponte provenendo da Padova una era posta a destra e si chiamava da Stropei e una a sinistra dove adesso c’è la Banca e si chiamava da l’Osto o da Nicola. Erano dei luoghi di aggregazione, di attesa del tram, quando si usava per andare a Piove o a Padova, oppure si aspettava la corriera. L’Osteria da Stropei era punto di partenza «dei pessari» che caricavano le cassette piene di ghiaccio e di pesce sulla corriera, scendevano a Ponte San Nicolò, prendevano la bicicletta che avevano in deposito, caricavano la cassetta sulla bici e poi giravano per le strade a vendere il pesce. Verso le 13 -14 una volta finito il giro riprendevano la corriera vicino e tornavano a Chioggia.
Anche a RONCAGLIA c’erano due osterie famose.
Da Cappon in centro al paese sulla stratale e all’incrocio di via Garibaldi verso Rio che si chiamava da la Cincia. Da Cappon era il luogo dell’incontro prima e dopo il lavoro, si poteva bere, mangiare, giocare, discutere, giocare la schedina ecc… Nella sala superiore si incontravano gli uomini d’affari, i mediatori e si poteva fare qualche riunione. Da la Cincia, invece vi erano gli appassionati del gioco delle bocce, gli sportivi, si mangiava il dupion o la moeca, mentre si guardava quelli che giocavano a bocce o che giocavano a carte.
Anche RIO non era da meno con due osterie. La prima era un circolo Acli posto in via Cavour ma che tutti chiamavano enal o lena ora trasformata in casa privata. La porta non dava sulla strada ma era posta di lato, ossia sul lato lungo dell’edificio perchè i circoli non potevano avere accesso immediato dalla pubblica via. Aveva la televisione posta in alto ed io, una sera in compagnia di mia mamma, piccolissimo sono andato a vedere il Musichiere con Mario Riva, addormentandomi perchè era tardi e c’era posto in fondo alla sala, vicino all’uscita. La gente fumava, beveva faceva il tifo per l’uno o l’altro dei partecipanti, fischiavano alle vallette come fossero al teatro del varietà. Tutto questo a mia mamma dava fastidio, particolarmente il fumo e non mi portò più .
Il circolo inoltre era dotato di un altro grande servizio, il telefono pubblico o meglio il centralino per tutti i telefoni del paese e si andava per telefonare. Il funzionamento del centralino lo conobbi ben presto, perchè uno dei quattro telefoni del paese venne installato a casa mia e mio papà lo utilizzava per lavoro.
La telefonata avveniva in questo modo: si alzava la cornetta, si girava una ruotina con il manico di legno e si chiamava il centralino. Rispondeva il centralino che era posto al circolo Acli o Lena, che dir si voglia, e si diceva attaccami la spina perché devo fare una telefonata a Padova. La Sig.ra del centralino ti attaccava la spina, sentivi il segnale di via libera tuu, tuu, tuu e potevi comporre il numero da chiamare girando la rotellina con i buchi posti in corrispondenza dei vari numeri. Il tutto avveniva in piedi perché il telefono era fissato al muro.
Succedeva, che mio papa chiamava per sé o per altri che gli chiedevano di fare una telefonata urgente, ma il centralino non rispondeva perché dava il segnale occupato. Allora mio papà riattaccava e riprovava dopo alcuni minuti. Se al secondo tentativo trovava di nuovo occupato allora si incazzava di brutto. Mi chiamava: «Ninoooo va all’Enal e dighe che no se fa l’amor col telefono, dighe che el telefono serve par lavorare e no pa ciacoeare col moroso». Allora io inforcavo la mia bicicletta ed andavo all’Enal, appoggiavo la bicicletta ed entravo. Spesso trovavo una persona dentro alla cabina chiusa che stava telefonando. Cercavo quindi la signora che gestiva il circolo e riportavo la richiesta di mio padre. La Sig.ra allora andava alla cabina che aveva un piccolo vetro sulla porta e dall’esterno faceva cenno a quello o quella che era dentro alla cabina insonorizzata e stava telefonando, che bisognava tagliare la conversazione.
Quando la cabina era libera, l’addetta attaccava al centralino uno dei cinque spinotti che penzolavano dal centralino e così mio papà aveva la linea libera. Data la frequenza con cui avvenivano questi solleciti, ho imparato presto ad attaccare lo spinotto giusto. Ritornavo a casa, mentre mio papà terminando la telefonata mormorava «se con sinque teefoni par fare ‘na telefonata bisogna mandare l’ambasciatore, cossa succederà quando i teefoni sarà diese? ». Col senno del poi non aveva grande fiducia nel progresso!
La seconda osteria di Rio si trovava dietro la chiesa vicino al fosso allora non tombinato e si chiamava da Campanaro. Anche questa osteria aveva il gioco delle bocce all’esterno e posta su una stradina con la ghiaia dove c’era l’accesso per altre abitazioni. Dentro si mangiava minestra di fagioli, spuncioni con l’acciuga o con la cipolla, nervetti e l’immancabile dupion con olio pepe e sale, come passatempo durante le partite a carte, al posto della gomma da masticare. Si giocava anche a biliardo e fuori si giocava a bocce fino a tarda sera. Le bocce, era un gioco esclusivo per soli uomini. I giochi più in voga era il gioco c.d alla veneta ed il c.d tiro al boccino. Nel gioco alla veneta si confrontavano due o quattro giocatori ed un arbitro detto giurin. Aveva uno strano strumento a compasso che serviva, nei casi dubbi, a verificare le distanze tra le bocce. I giocatori più abili tiravano la boccia colpendo al volo quella posta alla fine del campo, mentre questa schizzava sullo steccato fatto di assi di legno recuperate dalle traversine della ferrovia, con un rumore fortissimo, pari a quello di una fucilata. Molto spesso dopo un bel tiro, il pubblico presente ai lati approvava il gesto con un bell’ applauso e grida di esortazione. In qualche modo c’era anche un po’ di tifo.
Quando chiusero il Circolo Acli il telefono pubblico fu trasferito da Campanaro recuperando la vecchia cabina, ma il centralino con i cinque spinotti, ormai era stato superato ed i telefoni funzionavano ognuno per conto proprio. Ma anche da Campanaro la barista coinvolgeva noi ragazzetti: «Mi andate a chiamare Tizio o Caio dicendogli che lo hanno cercato urgentemente al telefono». Allora noi partivamo in bici andando nei vari angoli del paese a chiamare l’interessato. Spesso si trattava di notizie urgenti quali ricoveri, morti, nascite, visite, comunicate tramite il telefono perché era lo strumento più veloce, allora disponibile.

Poi c’era RONCAJETTE con l’osteria a la Busa. Si chiamava a la Busa perché era posta su una busa. Per entrare si dovevano scendere alcuni scalini tuttora esistenti, che portavano dalla salita del ponte alla porta dell’osteria. La Busa di Roncajette era caratterizzata dal buon vino, dal buon cibo e dall’ottimo pane per l’esistenza in loco dei mulini e forni del pane. Anche a Roncajette c’era l’osteria con il posto telefonico pubblico e la cabina. Esisteva uno scoperto all’esterno e nei giorni di sagra era sempre tutto pieno. Vicino all’osteria c’era il negozio di alimentari. Anche a la Busa si facevano incontri, riunioni nelle varie ore del giorno o della sera.
Percorrendo la strada che collega Rio a Voltabarozzo oggi via Verdi o Antonio da Rio c’era un’altra antica osteria. Si chiamava da la Bepa o da la Bepa Modesta, anche questa dotata di gioco delle bocce con il campo illuminato esterno. Frequentata per mangiare una specialità, quale il baccalà alla vicentina o in insalata. Questo baccalà era così famoso, che molti lo andavano a comprare con la teglia per poi mangiarselo in famiglia. Il baccalà infatti è un piatto difficile da preparare in casa, perché di lunghissima cottura e le donne, che incominciavano a lavorare fuori casa, non avevano più le giornate a disposizione per battere, ammollare e cuocerlo. Molto meglio trovarlo pronto anche se il costo era un po’ più alto. Anche mia mamma andava spesso a comprare il baccalà alla vicentina o anche alla padovana da la Bepa.
Nel territorio padovano, vicino all’argine del Bacchiglione c’era alla fine di via Piave la Mora Ciavarina. Anche questa caratterizzata dalla presenza del gioco delle bocce con più campi illuminati e riparati da una pergola che nei mesi estivi garantiva un po’ di ombra. Visi giocava fino a tara sera ed era sede di gruppi di bocciofili, di ciclisti ecc… Il successo della Mora è stato notevole, sebbene trasformata in ristorante di pregio è arrivata praticamente intatta sino a noi anche dopo che il gioco delle bocce non era più in voga.
A Voltabarozzo prima della salita sull’argine a fianco del Parco della famiglia dei vivaisti Sgaravatti c’era l’osteria da Chicchi, anch’essa con campi da bocce e pergola. Sul retro dopo l’osteria sorgeva poi un vecchio cason. Attualmente il campo da bocce è diventato un parcheggio e l’osteria ha fatto posto ad una trattoria di qualità
La vicinanza alla città ha fatto sì, che il progresso arrivasse lungo la statale Piovese ed allora vicino ai nostri confini sono nati il Palazzino o Paeassin e la Trattoria da Ragazzo. Non si può dire che fossero delle vere e proprie osterie, ma fin da subito questi due locali si sono caratterizzati per l’eleganza, la novità, gli arredi, il servizio impeccabile, il riscaldamento nei mesi invernali, l’acqua calda, la pulizia ecc… Tutte cose che nelle altre osterie non erano proprio scontate! La clientela era poi all’altezza dei luoghi, piccoli imprenditori specie del settore edile, mediatori, piccoli professionisti, i quali non giocavano a bocce, ma a carte inteso a ramino, poker, scala quaranta e così cominciarono ad essere frequentati, specie al mattino e nel primo pomeriggio, dalle donne. Infatti nelle osterie le ragazze o le donne non mettevano per abitudine mai piede, perché luogo dove il linguaggio era appunto, da osteria, c’erano avvinazzati che davano fastidio, fumavano moltissimo ed allora per le donnenon fumavano non c’era molto da divertirsi.
Fino a quarant’anni fa l’osteria era il posto di aggregazione per antonomasia. Tra le loro mura sono state fondate molte associazioni sportive, si facevano riunioni politiche e di partito, di approfondimento culturale sulle novità in agricoltura, sul lavoro, sono state fondate le cooperative edilizie nate per costruire in proprio la propria abitazione. L’osteria era la sede della Cassa Peota oggi dimenticata e persino vietata perché poteva, si disse allora, compromettere la sicurezza del risparmio che solo la banca poteva invece assicurare. Tutti sanno, poi come è andata a finire? Fate voi i confronti. L’osteria ha svolto nel nostro Veneto un ruolo fondamentale anche nello sviluppo economico nel favorire le condizioni del boom economico e del benessere e col benessere…. ciao osteria oggi abbiamo la dinner room, il brunch , il lunch ed il briefing ed il dupion non lo mangia più nessuno.

Leone Barison

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