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Prato della Valle, la Valle delle statue

Quando si dice “Pra dea vae” state sicuri che un Padovano “doc” lo si riconosce subito per il lampo che gli si accende negli occhi, come dire Basilica del Santo o caffè Pedrocchi, i tre simboli sentiti come i più vicini e i più cari della città. Varie volte mi è capitato di accompagnare qualche scolaresca a visitare Padova col suo bel centro storico e i suoi bei monumenti ma quando arriviamo in Prato della Valle io dico sempre che lui da solo si meriterebbe un film, tanto è un luogo ricco di fascino e di storia. Qui si esercitavano le legioni romane quando ancora era chiamato “campo di Marte”, qui migliaia di Patavini assistevano nel teatro Zairo (storpiatura di Satyrum) agli spettacoli delle commedie satiriche del nostro concittadino Trasea Peto, già senatore e filosofo alla corte di Nerone, qui venne decapitata la martire Giustina nel 304 d.C. per essersi rifiutata di rendere culto divino all’imperatore.

E sempre qui, alla caduta dell’impero romano passarono, a più riprese, le orde dei barbari portando morte e distruzione in città: nel sesto secolo i Longobardi la rasero al suolo (l’odierna via Rudena, storpiatura di via Ruderi è ancora lì a ricordarcelo); nel nono secolo gli Ungari arrivarono ad incendiare l’abbazia benedettina di Santa Giustina con la sua famosa biblioteca; qui nel 1239, l’imperatore svevo Federico II, nipote del Barbarossa, davanti ai Padovani venuti in Prato della Valle per ossequiarlo, strappò la scomunica inviatagli da Papa Gregorio IX per aver osato “patteggiare” col Saladino la sesta crociata piuttosto che combattere. Insomma, avete capito, una lunga cavalcata storica il nostro Prato, un romanzo continuo fatto di molti capitoli, pieno di intrighi, a volte esaltante e violento ma anche, perché no, mistico e festoso, come quando frate Antonio predicava alle folle, o quando, siamo ormai in pieno Rinascimento, Annibale Capodilista faceva sfilare la celebre giostra mitologica (tipo carnevale di Viareggio) con la statua del cavallo di legno più grande del mondo (ora nel palazzo della Ragione). Qui, nel 1678, sul sagrato di Santa Giustina, la prima donna al mondo fu portata a discutere la sua tesi di laurea in filosofia di fronte ad una ressa di popolo che l’università non riusciva a contenere. Si chiamava Elena Lucrezia Piscopia Cornaro, doveva laurearsi in Teologia, la regina delle materie a quei tempi, ma l’allora vescovo di Padova Gregorio Barbarigo liquidò la richiesta con la celebre frase in pura lingua veneta:”Volé che tuto el mondo ne rida drio?”. Altri tempi davvero!

Ma sempre, in tutte queste storie, per il nostro Prato c’era un “ma”: non doveva assolutamente piovere! Sì, perché quando pioveva la famosa valle si trasformava in acquitrino, regno delle rane e delle zanzare, un vero inferno fangoso alle porte della città. E si dovette arrivare alla fine del ‘700, esattamente nel 1775, con un Provveditore straordinario veneziano di nome Andrea Memmo al governo della città, perché la cosa fosse risolta drasticamente e in via definitiva. Fece riempire la valle con diecimila carri di pietrisco ricavati dal vecchio traghetto carrarese dietro al Duomo, contornò l’anello centrale, così rialzato a mo’ di cupola, di una canaletta per lo scolo delle acque e, perché queste non restassero stagnanti, la alimentò direttamente con una derivazione del Bacchiglione attraverso un nuovo canale, l’Alicorno (alius cornius) in modo da farle defluire correttamente e non si fermassero ad imputridire la zona perimetrale con odori malsani. Tutto risolto dunque? Certamente sì, ma ora il Prato andava a suo modo abbellito come il giardino di una villa, senza esborso di denaro pubblico però, perché le spese sarebbero state sostenute da chi avesse voluto far erigere una statua a ricordo dei suoi antenati illustri. Ed ecco sorgere mano a mano, ad anelli concentrici, ben 84 statue di giuristi, scrittori, medici, condottieri, Papi e Dogi (sei di questi ultimi purtroppo decapitati dai napoleonici e mai più rimessi), con 16 grandi vasi ornamentali, 4 ponti, 8 obelischi. Il progetto originario prevedeva anche un mercato ed un lungo porticato che facesse da “quinta scenica” là dove poi è sorto il foro boario, ma non se ne fece nulla ed ora una fontana zampilla bellamente al centro dell’isola battezzata giustamente “Memmia” dal nome del suo infaticabile promotore.

Il drammaturgo tedesco Goethe, uno dei tanti viaggiatori d’oltralpe che facevano il viaggio di studio in Italia per arricchire le loro conoscenze, passando per Padova descrisse il Prato così:”Prato della Valle è una larghissima spianata dove si tiene la fiera di giugno…l’ampiezza della piazza offre un colpo d’occhio piacevole e grandioso. Un immenso ovale è occupato tutto all’intorno da statue rappresentanti uomini illustri. Intorno a quest’ovale scorre un canale d’acqua. Sui quattro ponti che lo sovrastano si trovano statue colossali di Papi e di Dogi…questa diventerà una bellissima piazza. Era il settembre 1786 e non si sbagliava, tant’è che oggi essa è considerata l’isola pedonale più grande e più bella al mondo.

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