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Quel terribile settembre nero di Roma

Due furono le sconfitte cocenti che l’impero romano, all’apice della sua potenza, dovette “digerire” a fatica nel corso della sua storia: quella di Carre (in Turchia) contro i Parti nel 53 a.C. dove Crasso (triumviro con Cesare e Pompeo) perse la vita assieme alle sue legioni e quella di Teutoburgo contro i Germani, l’11 settembre del 9 d. C. di cui ora parleremo.

E, come per le Torri gemelle di NewYork, se c’è un nome in Europa che ancora suona infausto per Roma a duemila anni di distanza è proprio quello di Teutoburgo, foresta che si trova nell’odierna regione della Vestfalia, in quanto evocatore della più grave sconfitta subita dalle legioni di Augusto, di stanza in Germania per sottomettere e pacificare quelle bellicose tribù del Nord.

A capo del corpo di spedizione, formato da circa 20 mila uomini, c’era un generale di tutto rispetto: Publio Quintilio Varo, mentre uno dei suoi luogotenenti, comandante della cavalleria ausiliaria, era il principe Arminio, della tribù dei Cherusci, originario di quelle parti.

La foresta di Teutoburgo, tra Dortmund e Hannover
Aquila d’oro imperiale che marciava alla testa di una legione romana
Monumento ad Arminio nella foresta di Teutoburgo
(La sola spada misura ben 7 m. di lunghezza)

Da ragazzo, assieme al fratello Flavo, aveva studiato a Roma sotto la protezione dello stesso Varo ed aveva ottenuto l’ambita cittadinanza romana fino a diventare cavaliere.

Ma il giovane poco più che ventenne era falso e ambizioso e, una volta messo piede nella sua terra natale, si adoperò con l’inganno per fare il doppio gioco contro il suo vecchio protettore, sognando di diventare lui il capo di tutti i Germani. E un giorno di settembre, con la scusa di andare a sedare una rivolta, convinse Varo a seguirlo con tutte e tre le legioni nel bel mezzo della foresta di Teutoburgo, fangosa ed impenetrabile, e lì fece scattare la trappola: nascosti tra il fitto degli alberi li aspettavano migliaia di barbari inferociti pronti ad aggredirli. I legionari, impantanati nel fango per le frequenti piogge, privi di orientamento e di guide esperte, costretti ad avanzare in lunghe, interminabili colonne facilmente esposte agli assalti, furono ben presto sopraffatti e massacrati.

La mattanza durò tre giorni e alla fine Varo stesso, vistosi perduto, si suicidò gettandosi sulla sua spada. Era l’11 settembre del 9 dopo Cristo. La XVII, la XVIII, la XIX legione non esistevano più, completamente annientate, catturate anche le tre insegne con le aquile d’oro che marciavano in testa alla spedizione, i pochi superstiti sacrificati agli dei della foresta. Alla notizia della strage Augusto impazzì per il dolore tanto che i cronisti dell’epoca raccontano che per più giorni andò gridando per le stanze del palazzo imperiale:”Varo, Varo, rendimi le mie legioni!”, sbattendo la testa contro il muro.

Nei secoli a venire quella vittoria fu celebrata come l’emblema del nazionalismo tedesco, sia dall’impero germanico che dal regime nazista ed una  statua enorme, alta 26 metri, fu innalzata nel 1875 in onore di Arminio nel luogo della strage. Ed ancora oggi egli viene celebrato come eroe nazionale tant’è che nel 2009, nel bimillenario dell’avvenimento, non sono mancate a Berlino cerimonie commemorative e grandi festeggiamenti collettivi alla presenza della stessa Merkel.

Al contrario, per i Romani Arminio rimane un traditore falso e ingrato che non esitò a ingannare e sacrificare colui che lo aveva allevato come un figlio cosa che non fece, peraltro, suo fratello Flavo rimasto sempre fedele a Roma.

Cinque anni dopo la tremenda strage, passata alla storia come la “Clades Variana”, partirà una possente spedizione punitiva formata da ben otto legioni comandate da Germanico: le aquile d’oro saranno ritrovate, l’onta lavata, l’onore ristabilito ma la penetrazione romana in Germania si fermerà definitivamente al fiume Reno.

E, col senno di poi, nessuno può dire quanti e quali riflessi questo mancato appuntamento con la storia e con la civiltà latina non abbia avuto sui futuri destini dell’Europa, fino ai giorni nostri.

E Arminio? Morirà dieci anni dopo, poco più che trentenne, nel 19 d.C., assassinato dai suoi stessi parenti, così come legge dantesca del contrappasso vuole, che ne temevano lo smodato potere.

Nota archeologica
A distanza di duemila anni da quel terribile undici settembre del 9 d.C. gli archeologi continuano a scoprire nella foresta di Teutoburgo migliaia di reperti fra cui 160 denari d’argento, otto rare monete d’oro con l’effigie di Augusto, piombi di lancio usati come proiettili, una corazza e una maschera da parata di un cavaliere romano in ferro e argento e, proprio l’anno scorso nel 2020, un bellissimo pugnale completo di fodero e cintura, decorato con giochi geometrici, argento e intarsi, così ben restaurato da sembrare nuovo.

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